San Sperate, un martire venuto dall'Africa.
30.12.2012 18:49Il Martire San Sperate.
L’atavica nemica di Roma, Cartagine, fu teatro, all’alba del regno di Commodo, il 17 luglio del 180 d.C., della prima persecuzione documentata della Chiesa africana, nella quale furono giustiziati i celebri martiri scillitani, tra cui spiccava per autorevolezza e prestigio Speratus. La devozione per questi santi fu tale che, non solo sulla loro tomba venne eretta una basilica (in cui Sant’Agostino, all’inizio del V secolo, pronunciò una delle prediche da lui composte in loro onore), ma si scatenò anche, in epoca medievale, una vera e propria corsa alle reliquie, che vide protagoniste la Spagna e la Francia, ed infine l’Italia con Roma, dove, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, viene ancora celebrata una messa in loro onore, il 17 luglio. Il 17 luglio è peraltro una data nodida e assai importante anche per la nostra comunità, che celebra solennemente il martirio del suo eponimo patrono, quel San Sperate che presenta molti, forse troppi elementi in comune con l’archimartyr della Chiesa d’Africa, per pensare a semplici coincidenze. Secondo la credenza locale egli sarebbe, però, un eroe della Fede oriundo del paese, che divenuto condottiero dell’esercito romano, si sarebbe distinto nella difesa della religione ufficiale dell’impero; convertitosi al cristianesimo, si sarebbe poi dedicato ad un’instancabile attività apostolica che gli sarebbe costata la condanna a morte mediante decapitazione, condivisa con un’altra presunta martire locale, Santa Prisca, durante le persecuzioni di Diocleziano, all’inizio del IV secolo. Infine, stando sempre alla narrazione tradizionale, nel luogo in cui i compaesani decisero di seppellire i due santi, il vescovo di Cagliari Brumasio avrebbe fatto edificare una chiesa, in cui sarebbero state raccolte anche le reliquie di molti altri martyres. Nessun documento attendibile suffraga, tuttavia, questa versione: la sua venerazione nell’isola risale probabilmente al VI secolo, quando fu introdotta, assieme alle reliquie, dal clero africano esiliato in Sardegna dal re vandalo ariano Trasamondo. La presenza dei prelati africani nell’isola fu contraddistinta da un’intensa attività apostolica, caratterizzata anche dalla salvaguardia delle reliquie dei santi più venerati, da Sant’Agostino a Santa Restituta, trasferite a Carales per essere sottratte al rischio di eventuali profanazioni ad opera dei vandali. Benché non ci siano prove certe di questa traslazione, una serie di elementi spingono con decisione in questa direzione, a partire dalla data del martirio (per entrambi il 17 luglio) e dal vescovo che ospitò gli esuli africani, Brumasio di Cagliari, il medesimo citato nell’iscrizione che ricorda San Sperate, ritrovata in occasione degli scavi seicenteschi nei ruderi dell’antica chiesa sorta sulla tomba del santo e a lui dedicata .
L’antica chiesa paleocristiana.
Sfortunatamente tutto ciò che conosciamo di questa ecclesia paleocristiana, deriva dai non sempre attendibili resoconti delle esplorazioni volute dall’arcivescovo di Cagliari Francesco D’Esquivel ed organizzati dal canonico Baccalar e dal barone Porcella, tenutesi a San Sperate tra il 25 aprile e il 3 maggio del 1615. Ad eccezione infatti di un cassone rivestito di malta di calce, che la tradizione vuole fosse il sepolcro del santo, non è rimasto nulla di visibile di quanto emerse da quell’indagine: l’edificazione della nuova chiesa in onore di Sperate obliterò interamente i resti del precedente edificio, mentre l’epigrafe che ricordava l’arrivo delle reliquie del martire e dei suoi compagni ad opera dell’episcopus Brumasius, è andata perduta.
Fra le relazioni di quegli scavi, particolarmente interessanti risultano quelle composte dal frate cappuccino Serafino Esquirro, che descrive il paese ricco di vestigia archeologiche, segno di un passato importante, e tra queste annovera i ruderi di una chiesa intitolata a San Sperate che sorgeva “…molto vicina all’abitato dello stesso villaggio… in prossimità di un rio [il Mannu]..” e della quale rimanevano ormai solo alcuni resti delle fondazioni affioranti al suolo, il tratto di un angolo della cappella maggiore. Della chiesa e della sua antica funzione si era perso ormai il ricordo, tanto che “… nessuno sapeva né pensava cosa vi si trovasse. Si sapeva solo, per antica tradizione, che quella era la chiesa di San Sperate e alcuni ricordano che, quando cadde parte della volta della citata cappella maggiore, si scoprì il tesoro che vi era nascosto…”. In seguito alla rimozione dalla chiesa di San Sebastiano (dove, sempre secondo l’Esquirro, era stata posta pochi anni prima, dopo essere stata prelevata dai ruderi dell’antica ecclesia di San Sperate) della lastra contenente l’iscrizione che ricordava le spoglie di Sperate, si procedette agli scavi tra le rovine dell’antica basilica intitolata al santo. Quanto affermato dall’Equirro e le scarse evidenze archeologiche, consentono quindi di dedurre l’esistenza a San Sperate di una ecclesia paleocristiana formata da un’aula rettangolare con cappella maggiore quadrata, presbiterio semicircolare e cappella laterale, dotata di un mosaico policromo, che rinviano ad un’età compresa tra fine V e inizi VI secolo: tale cronologia potrebbe essere confermata proprio dall’opera musiva che appare coeva a quella di altre basiliche sarde tra cui quella di San Saturnino a Cagliari. Essa era ubicata in una zona marginale rispetto all’abitato e insisteva su un’area cimiteriale, che potrebbe far pensare a forme di religiosità di tipo ctonio-funerario. Tuttavia la presenza di resti murari probabilmente pertinenti all’abside di un calidarium ed ancora visibili all’esterno della chiesa attuale, lascerebbe ipotizzare il riadattamento di un edificio termale di una villa rustica, una delle modalità più diffuse di edilizia religiosa rurale a partire dal V secolo: tali strutture residenziali sorgevano in corrispondenza di importanti assi stradali, proprio come nel caso dell’abitato di San Sperate. Il centro era infatti attraversato dalla principale arteria stradale dell’isola, la a Karalibus Turrem (l’odierna SS. 131), che a Sud lo collegava con Caralis, attraverso la Bia Manna o Bia de Casteddu; a Nord il percorso proseguiva poi con la strada medioevale, ma probabilmente già romana, della bia’ e s’Arbarei che raccordava il paese mediante il ponte Becciu sul Rio Mannu (di cui restano ancora visibili i ruderi nell’antico alveo del fiume) con l’alto Campidano e con le zone interne grazie ad una serie di piccole arterie; ad Ovest proseguiva invece verso le aree metallifere dell’Iglesiente e del Guspinese con l’attraversamento presso il Rio Flumineddu. In un simile contesto, l’eventuale scelta del nostro paese come sede per ospitare uno dei martiri più antichi di tutta la cristianità, non appare del tutto peregrina; né fanno ostacolo a questa ipotesi le tradizioni di un trasferimento delle reliquie di Sperate a Lione per volontà di Carlo Magno agli inizi del IX secolo: esso riguardò infatti verosimilmente solo una parte delle resti sacri del santo e non l’intero corpo, se non solo una memoria del martire o addirittura false reliquie, ritenute dai messi del re autentiche a tutti gli effetti.
Sarà stata la presenza del martire, o per lo meno di una chiesa a lui intitolata, a determinare il cambiamento, in un arco di tempo compreso tra il VII e il XIII secolo, del toponimo dell’abitato in questione in San Sperate, dopo che per gran parte dell’epoca romana fu probabilmente quello di Civitas Valeria. Nei secoli successivi la devozione in onore del santo, subì un forte rallentamento a vantaggio di altri culti come quello per Santa Lucia e San Giovanni, presenti significativamente, nell’abitato di San Sperate, con due chiese loro intitolate: con il venir meno della venerazione per il martire, in un’epoca imprecisata, anche l’ecclesia fu abbandonata e ridotta in rovina, e ben presto si perse il ricordo della sua primitiva funzione, nonché dell’origine del nome dell’insediamento stesso.
Per il resto il culto di San Sperate non ha numerosi riscontri in Sardegna, se si escludono le quattro menzioni medioevali di un presbiteru Isperate riferite dal Condaghe di S. Pietro di Silki, nonché di una iglesia de Sant Esperat del quale è fatta menzione nel Condaghe di S. Michele di Salvenor, di cui oltre al nome non si hanno altri riferimenti cronologici e topografici. Tuttavia un ulteriore indizio di devozione per il martire potrebbe essere indicato dall’onomastica paleocristiana che pare serbarne memoria; inoltre la diffusione del cognomen Speratus nelle aree limitrofe al comune omonimo, suggerisce la probabile presenza di membri della gens di origine del martire africano, elemento questo che, qualora venisse confermato, rappresenterebbe una significativa giustificazione alla particolare diffusione del culto di Sperate nel Campidano.
In conclusione, fu la Sardegna patria di un martire Sperate distinto dal più celebre omonimo africano? Al quesito sembra doversi rispondere negativamente: nessuno degli elementi presi in esame avvalora infatti questa ipotesi, ma tutti concordemente spingono piuttosto verso la direzione di segno opposto, permettendo di indicare come altamente probabile l’identità del santo scillitano con quello venerato nell’isola. Una sommatoria di indizi porta difatti a ricollegare il culto per Speratus all’Africa, giunto probabilmente nell’isola all’inizio del VI secolo, forse assieme alle reliquie, ad opera dei prelati africani cattolici esiliati per motivi religiosi dal re vandalo ariano Trasamondo.