Il Popolo dei Giganti. I misteri di Monti Prama

28.12.2012 19:50

Il popolo dei giganti.

I misteri di Monti Prama

 

Monti Prama è un piccolo rilievo raggiungibile percorrendo la strada che da San Salvatore di Cabras conduce al bivio per mari Ermi, una bellissima località marittima del Sinis. L’evocativo toponimo ci riporta alla verdeggiante flora della zona, le palme nane, che in passato lo ricoprivano completamente e che si possono ancora osservare sul promontorio prospiciente. Un luogo ameno, suggestivo quanto sconosciuto ai più, almeno fino al 1974, quando balzò improvvisamente agli onori della cronaca per via di un incredibile ritrovamento archeologico, destinato a far discutere a lungo e i cui echi non accennano a spegnersi neppur oggi, a distanza di quasi quarant’anni. Basterà questo titolo “Sotto la terra sarda i giganti di Atlantide?”, apparso ne L’Unità del 27 maggio del 2008 a firma di Stefano Miliani, a far intuire la portata e le implicazioni storico-archeologiche di quella scoperta.

Ma procediamo con ordine. Era una fredda mattina del Marzo del 1974. Sisinnio Poddi lavorava, come ogni giorno, nel suo campo, un terreno pianeggiante privo di alberi, coltivato a grano. Una scena familiare, ripetuta chissà quante volte, che si trasforma inaspettatamente in evento epocale della storia di un popolo, quando, dalle zolle rivoltate dall’aratro, emerge un busto, una testa, un braccio di roccia bianca. E’ l’inizio di un’avventura, quella dei giganti di Monti Prama e dei loro misteri. Un vero arcano, perché, quasi a farsi beffe di una genia di statura certamente non imponente (quella sarda), le statue ritrovate sono dei veri e propri colossi (più di due metri), che rappresentano, tutti in posizione eretta, 30 guerrieri, tra cui 17 pugilatori e 8 arcieri. Ma ciò che rende terribilmente inquietanti e ricchi di malia questi “titani”, è, a dispetto del nome, non la mole ma lo sguardo, l’insolita resa del volto e degli occhi. Due cerchi concentrici, incastonati in una fronte molto pronunciata che scende su un naso stilizzato, restituiscono un’espressione magneticamente severa e fortemente enigmatica a queste creature di pietra.

L’archeologia però è scienza che non si nutre di suggestioni, ma necessita di dati, di riscontri precisi, raccolti, in questo caso, nel corso di due campagne di scavo, che, dopo la segnalazione alle autorità competenti, vennero affidate dalla soprintendenza Archeologica e dall’Università di Cagliari dapprima a Giovanni Lilliu, e successivamente, nel 1979, a Carlo Tronchetti. Fu proprio con quest’ultimo che l’indagine entrò nel vivo, portando alla luce una vasta necropoli e più quattromila frammenti scultorei, molti dei quali adagiati sopra le sepolture. In quelle tombe costruite a pozzetto e coperte da una lastra in arenaria gessosa chiara (lo stesso materiale con cui furono realizzate le statue) venne trovato un solo elemento appartenente al corredo funerario (per il resto del tutto assente), un sigillo a forma di scarabeo databile nei decenni finali dell’VIII sec. a.C.

Ed è proprio l'associazione tra tombe e statue ad aver indotto Tronchetti ad ipotizzare che si trattasse di una necropoli-santuario, in cui venivano celebrate le gesta di una famiglia gentilizia, un gruppo aristocratico che si palesava alla comunità mediante i simboli del potere (modelli di nuraghe), del valore militare (arcieri), della religione (pugilatori). Si tratterebbe, stando sempre al professor Tronchetti, di un volontario riallacciarsi alla mitica e passata età dell’oro, con i betili (pietre cui si attribuisce una funzione sacra in quanto dimora o rappresentazione della divinità stessa) collegati alle vecchie tombe di giganti, alle quali forse allude anche la forma stessa, allungata, della necropoli. Se così stessero le cose, i Giganti di Monti Prama si inquadrerebbero perfettamente nel clima culturale dell’epoca orientalizzante (dalla fine dell’VIII a.C secolo a gran parte del VII), diffusa in tutto il Mediterraneo, che vide “la piena affermazione di gruppi familiari egemoni allargati”, propagato in questa parte dell’isola dai fenici di Tharros. Numerose sono infatti, le attestazioni di inurbamento di Sardi presso i centri fenici, e di Fenici presso comunità sarde, ad indicare chiaramente come le relazioni tra le due etnie fossero, talora, di pacifica e vantaggiosa convivenza. Secondo questa teoria, dunque, se pure l’idea dei monumentali giganti proverebbe dall’esterno, tutta “sarda” ne sarebbe tanto la resa (di chiara ispirazione nuragica, con la ripresa delle raffigurazioni dei bronzetti), quanto i valori rappresentati.

Mistero risolto? Tutt’altro. Il problema centrale resta in realtà quello della datazione, resa incerta dall’assenza di corredo funerario, con eccezione dello scarabeo che daterebbe però alla fine dell’VIII, solo la necropoli e non necessariamente le statue, le quali sono state ritrovate (ridotte in frantumi) adagiate sopra le tombe. Nessun elemento, purtroppo, permette di asserire con certezza se esse fossero anteriori, coeve o posteriori alla necropoli. L’eventuale spostamento indietro nel tempo al X secolo a.C., come vorrebbero alcuni, determinerebbe un totale ribaltamento del quadro sinora raffigurato: i nostri giganti non solo non sarebbero stati ispirati dalla tradizione dei bronzetti, (essendone anteriori cronologicamente), ma la statuaria sarda si porrebbe addirittura in una posizione di primato, precedendo quella dell’antica Grecia. I nuragici sarebbero gli artefici delle prime sculture a tutto tondo mai realizzate nel mediterraneo occidentale, i giganti di Monti Prama appunto.

Ma, l’abbiamo detto, l’archeologia è scienza esatta e, per ora, questa ipotesi è priva delle necessarie conferme, per essere attendibile, pur potendo vantare su un insigne sostenitore, quel Roberto Nardi, direttore del Centro di conservazione archeologica di Roma che nel 2004 ha ottenuto (nel Centro di restauro di Li Punti, nel sassarese) l’appalto per la ricomposizione e lo studio degli oltre 4880 frammenti scultorei provenienti dai magazzini del museo di Cagliari. E così, dopo millenni di anonimato sotto la fertile terra dell’oristanese e trent’anni di semi clandestinità nei sotterranei del museo di Cagliari, i colossi di pietra bianca conoscono una nuova stagione di notorietà, che dovrebbe assegnar loro la definitiva collocazione nella storia dell’Archeologia e della Sardegna in particolare.

Un primo significativo elemento è emerso subito in questa “clinica del benessere archeologico”. Sulla superficie di un frammento è stata trovata infatti una traccia di colore: i giganti in origine non erano bianchi, ma rivestiti di una vernice rossa e nera, ottenuta con un colorante di origine animale. La quantità è purtroppo esigua per fornire indicazioni cronologiche sulla base della tecnica del Carbonio 14, ma sufficiente per permettere di distinguerle dalle altre macchie scure trovate su diversi pezzi e originate da un incendio, che secondo una nota teoria, sarebbe stato il frutto di una sommossa popolare, culminata con la distruzione delle statue, simboli della classe dominante. Si spiegherebbe così l’enorme numero di frammenti in cui i giganti di pietra sono stati ritrovati nella necropoli, di cui tuttavia non avrebbero fatto parte. Secondo Antonietta Boninu, l'archeologa responsabile del progetto di restauro, esse sarebbero state, invece, parte integrante di un tempio che doveva trovarsi a breve distanza dal luogo del rinvenimento, come sembrano confermare i risultati delle analisi sul materiale utilizzato, un biocalcare prelevato dal cumulo di calcare che circonda Monti Prama.

Furono dunque i nuragici, nel X secolo, a costruire i colossi di pietra a rappresentazione della loro incontrastata egemonia sull’Isola? “Solo i nuragici rappresentano se stessi e a oggi non esiste una loro scultura lapidea”, chiosa Nardi, sottolineando l’enorme portata della scoperta, qualora venisse confermata. Fortemente scettico appare invece lo studioso, sull’eventuale legame col celebre popolo del mare, gli shardana: “Trovo fantasiose supposizioni come quella che le dà al popolo dei shardana. Tutto sommato trovo più plausibile l’ipotesi fenicia per alcune analogie stilistiche”.

Nuragici, fenici, shardana. A chi attribuirne la paternità? E a chi ascrivere la loro violenta distruzione? Ancora un po’ di pazienza, la strada per la verità questa volta sembra essere tutta in discesa. Ma ciò che appare ormai certo è il profondo valore attribuito ai Giganti, tanto dalla civiltà che li realizzò che da chi li distrusse. Essi furono il simbolo di un potere, di un’egemonia e di una cultura, contro cui si scagliò una forza bruta che in quei principi non si riconosceva più, e che oggi sono monumentum, ricordo indelebile di una storia ancora tutta da scrivere, quella del popolo sardo.